Dal libro "Il Borghese" di Vittorio Feltri.
"(...) Un giorno (...) ci
fu un incidente. In un nostro servizio troppo disinvolto, rievocammo una
vicenda di terrorismo che conteneva varie inesattezze,
alcune riguardanti Andreotti, eterno presidente del Consiglio. Il quale si
indispettì e mi chiese, tramite il presidente della Rizzoli, Giorgio Fattori,
di recarmi a Roma, a Palazzo Chigi, per delle delucidazioni in merito.
«Andreotti è incazzato nero, cerca di chiarire» mi raccomandò Fattori.
Con le pulsazioni
cardiache a mille, mi presentai nell’anticamera del suo ufficio, a Palazzo
Chigi. Dopo tre minuti, si aprì una porta e Andreotti
si affacciò invitandomi a entrare. Sospettavo una imminente lavata di capo.
Stavo per sedermi su una sedia posta davanti alla sua scrivania quando il
presidente esclamò: «No!». Restai di sasso. Poi aggiunse con pacatezza: «Venga
qui, la prego», indicandomi una poltroncina che non stava dal lato opposto alla
sua postazione, bensì proprio accanto a lui. Presi
posto aspettandomi da un momento all’altro il cazziatone. E invece no. Giulio
mi coprì di complimenti e cortesie.
«Come sta sua
moglie?», «E i suoi figli?», «Come si chiamano?», «Come si vive lassù, a
Bergamo?», «Come si sente?», «Cosa ha provato quando i suoi le hanno fatto due
mesi di sciopero dato che non gradivano la sua nomina a capo della redazione?»;
per una buona mezz’ora fui sommerso dalle domande,
rivoltemi da Andreotti con un sincero, o ben simulato, interesse. Ne restai
piacevolmente sconvolto. Non capivo più un accidenti. Ero completamente
disorientato. Nonostante l’atmosfera fosse ormai rilassata, continuavo ad
attendere rimbrotti e lamentele, che non giunsero mai. Quel giorno ricevetti
solo attenzioni e premure.
Andreotti, dopo
essersi assicurato di avermi pienamente gratificato,
cortesemente mi congedò. E nel congedarmi, proprio sulla soglia del suo
elegante ma modesto ufficio osservò sommessamente: «Certo, anche il suo di
direttore è un lavoro che comporta grandi responsabilità. Richiede una certa
prudenza…». Poi fece un accenno di sorriso e scomparve, inghiottito dalle sue
segrete stanze.
Tuttora mi chiedo
se Andreotti, incontrandomi quel dì, abbia voluto
conoscermi per capire se fossi o meno una sorta di mascalzone o per
condizionarmi senza darmi nessun avvertimento e senza chiedere alcun favore. Il
sommo potere è ottenere senza domandare. E in questo Giulio era perito. Mi
sovvengono le parole della mia cara amica Oriana, la quale, a proposito di
Andreotti, scrisse: «Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga,
vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con
nastri di seta, garbo, intelligenza»."